“Lei è felice?”: l’interrogativo che ha smascherato il successo e mi ha spinta a scrivere
Per anni, il mio lavoro mi ha portato a sedere di fronte a imprenditori, CEO e figure di successo, quelle persone che, nell’immaginario collettivo, hanno “vinto” la vita. Ho parlato di fatturati, strategie, potere e visione. Ma ogni mia intervista, al di là dei tecnicismi, si concludeva sempre con la stessa, disarmante domanda: “Ma lei, è felice?”
Le risposte erano quasi sempre affermative, un rapido e rassicurante “Sì, certo”. Il problema non era la risposta, ma ciò che veniva dopo, quando chiedevo: “Cosa significa per te la felicità?”
È in quel momento che ho intravisto l’ombra. Non è un giudizio, ma una riflessione maturata in anni di conversazioni: molti di questi uomini e donne di successo, pur avendo raggiunto vette economiche e professionali inimmaginabili, non sapevano realmente definire la propria felicità. Era un concetto astratto, un premio dato per scontato una volta incassato l’assegno del successo.
Il paradosso è potente: siamo tutti alla ricerca della felicità, ma la maggior parte di noi confonde il mezzo (il denaro, il potere) con il fine (il benessere interiore). Ho capito che la felicità non è un monolite universale. Ognuno di noi rincorre una felicità diversa, unica, plasmata dalle proprie esperienze e valori. Eppure, ci sono dei minimi comuni denominatori, dei principi di base che, se compresi, possono guidarci.
È da questa profonda e ripetuta perplessità che è nato il mio libro, “Business Class” (Froogs editore, 2025). Non è un manuale su come fare soldi, ma una cassetta degli attrezzi per aiutare ogni lettore – e in particolare ogni imprenditore – a definire e a costruire la propria, personale idea di felicità.
Durante questo percorso di ricerca, ho incontrato un solo essere umano che, a mio avviso, incarna la felicità in modo così autentico da essere disarmante: Federico Faggin, l’inventore del microprocessore.
Faggin è, per me, un “portatore sano di felicità”. È l’unico che, finora, ho incontrato senza alcuna maschera. Le sue parole, la sua presenza e la sua visione sono prive di filtri, di auto-celebrazione o di ansia da performance. Lui è semplicemente libero, e proprio per questo penso sia profondamente felice.
Il suo immenso successo scientifico e tecnologico non è la causa della sua felicità; ne è, al contrario, solo una conseguenza naturale. Quando si è liberi e autentici, il lavoro e la creazione fluiscono con una forza e una purezza che inevitabilmente generano eccellenza.
È questo messaggio – che la felicità è la causa, e non l’effetto, del successo duraturo – che ho cercato di distillare nel mio libro. Spero che “Business Class” possa essere la sveglia necessaria per chi, pur sedendo in business class, ha dimenticato la destinazione finale.
E tu, sai davvero cosa significa la felicità per te?
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