LA VERA CAUSA DELLA FUGA DEI CERVELLI NON È ECONOMICA, È ETICA: L’ITALIA, PAESE DELLE INCOERENZE
Trieste 20 ottobre 2025 – Abbiamo analizzato la diaspora di talenti all’estero. Il problema non è il solo stipendio, ma la profonda frattura tra il “detto” e il “fatto” che paralizza la classe dirigente, dal pubblico al privato. L’Italia non è il Paese delle opportunità, è la terra delle incongruenze.
Recentemente, con la nostra agenzia Ti Lancio, abbiamo acceso un faro sul fenomeno del “brain drain,” la dolorosa emorragia di talenti italiani verso l’estero. Se la narrazione prevalente punta il dito contro gli stipendi bassi o la mancanza di opportunità specifiche, la nostra indagine e l’ascolto delle nuove generazioni ci portano a un’amara, ma necessaria, conclusione: la vera ragione della fuga dei cervelli è la mancanza di coerenza etica e operativa della nostra classe dirigente.
L’Italia non è percepita come il Paese delle possibilità per i giovani; è percepita come la terra delle incongruenze.
Il problema permea ogni strato della società, dalle amministrazioni pubbliche al settore privato. Sentiamo costantemente discorsi sulla meritocrazia, sulla necessità di innovazione e sull’importanza di valorizzare i giovani. Ma cosa vedono i giovani quando guardano la realtà?
Vedono una profonda disconnessione tra le parole proferite nei convegni e le azioni intraprese nelle aule decisionali: nel pubblico, si parla di digitalizzazione e semplificazione, ma si incontrano procedure farraginose e processi decisionali opachi, spesso guidati da logiche di anzianità o appartenenza, anziché da competenza. Le aziende promuovono mission etiche e sostenibili, ma poi pretendono un’assoluta mancanza di work-life balance e offrono percorsi di crescita fumosi e non trasparenti.
È sempre più raro trovare classi dirigenziali – sia in politica che nell’industria – che siano realmente allineate e coerenti tra ciò che dichiarano e ciò che effettivamente fanno.
Questa profonda scollatura genera non solo frustrazione, ma un cinismo insuperabile. Il giovane professionista, altamente qualificato e spesso formato con grandi sacrifici, non fugge solo per un differenziale economico di pochi euro, ma per sfuggire a un sistema dove il suo valore intellettuale viene costantemente svalutato dall’ipocrisia organizzativa.
I talenti cercano ambienti dove l’impegno si traduce in un percorso chiaro, dove le regole sono applicate a tutti in modo equo e dove la gerarchia rispetta il principio di responsabilità. L’estero, spesso, non offre un’utopia, ma semplicemente un ambiente dove il livello di coerenza tra i valori dichiarati e le pratiche quotidiane è significativamente più alto.
La fuga dei cervelli è, in sostanza, il rigetto di un sistema che chiede sacrifici e dedizione, ma non mantiene le sue promesse di reciprocità, meritocrazia e rispetto per il tempo e l’identità della persona. Se l’Italia vuole davvero invertire la rotta, deve smettere di parlare di incentivi e iniziare a parlare di integrità. Dobbiamo ricostruire la fiducia, un atto di coerenza alla volta.
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