Il cinema di Éric Rohmer e l’estate: la “vacatio” come laboratorio morale
L’immagine del cinema francese di Éric Rohmer è spesso legata a un’atmosfera estiva, a giornate lunghe e luminose trascorse su spiagge assolate o in giardini tranquilli. Ma al di là della semplice ambientazione, il regista francese ha saputo trasformare il tempo di vacanza in una profonda esplorazione della natura umana. Le sue non sono semplici commedie sentimentali, ma veri e propri “racconti morali” in cui l’estate non è un’evasione, bensì un laboratorio, un tempo sospeso per l’anima, che potremmo definire con il termine latino “vacatio”.
La “vacatio”: un vuoto da riempire
La parola “vacatio” deriva dal verbo latino vacare, che significa “essere vuoto, libero da”. Nel cinema di Rohmer, la vacanza è esattamente questo: un periodo libero dagli impegni quotidiani, dalle maschere sociali e dalle routine che definiscono la nostra vita ordinaria. In questa sospensione, in questo vuoto, i personaggi sono costretti a confrontarsi con se stessi e con gli altri in un modo più diretto e profondo.
È in questo spazio liminale che emergono i dubbi, le indecisioni e le piccole, grandi crisi morali. Pensiamo a Delphine, la protagonista de Il raggio verde (Le Rayon vert). La sua vacanza è un’odissea di solitudine e ricerca, un vagare senza meta da un luogo all’altro, che riflette il suo smarrimento interiore. La vacatio, per lei, non è riposo, ma una condizione di ansia esistenziale, risolta solo da un incontro fortuito e dalla visione di un fenomeno naturale che ha del mistico.
La spiaggia come palcoscenico morale
Se l’estate è il tempo della riflessione, la spiaggia è il suo palcoscenico ideale. Lontano dalle città, i personaggi di Rohmer si confrontano con il mare, il sole e il vento, elementi naturali che fanno da specchio alle loro emozioni e ai loro stati d’animo. Il loro “fare niente” è in realtà un “essere”, in un contesto in cui la luce accecante del sole espone ogni dettaglio, ogni esitazione.
In Pauline alla spiaggia (Pauline à la plage), la tranquillità del litorale nasconde un vero e proprio gioco di menzogne e seduzioni. I personaggi si abbandonano a flirt, a conversazioni intellettuali e a piccole manipolazioni, in cui ogni dialogo è un passo in avanti o indietro nel gioco delle relazioni. La spiaggia diventa un luogo dove le regole sociali sono più elastiche, permettendo ai desideri e ai dilemmi morali di emergere in superficie.
Il dialogo come evento
Nel cinema di Rohmer, non sono i grandi eventi a muovere la trama, ma le conversazioni. In Racconto d’estate (Conte d’été), la vacanza del giovane Gaspard in Bretagna è un intricato triangolo sentimentale non dichiarato. Il film si sviluppa interamente attraverso i suoi dialoghi con tre ragazze diverse, ognuna delle quali lo spinge a riflettere sul significato dell’amore, della fedeltà e della scelta. È nella leggerezza delle parole scambiate su una scogliera o in una stanza d’albergo che si decidono i destini dei personaggi. L’azione non è esterna, ma interiore, un processo di continua autoanalisi.
In questo senso, il cinema di Rohmer ci insegna che il tempo di vacanza non è mai un tempo vuoto. È, al contrario, un momento di pienezza emotiva e di crescita personale, dove la sospensione del tempo ordinario ci permette di fare i conti con noi stessi. Le sue storie estive ci lasciano una domanda: cosa facciamo quando non “dobbiamo” fare nulla? Rohmer ci suggerisce che è proprio in quel momento che inizia il lavoro più importante: quello di capire chi siamo.
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